Dal 30 Maggio al 28 Giugno espone a Villa Fiorentino il pittore Vincenzo Stinga di origini sorrentine, ma romano di adozione. La sua è una mostra antologica che ripercorre i cinquant’anni di carriera artistica lì da dove era partito per la sua esperienza professionale e umana, con l’obiettivo di fermare nel tempo emozioni, sensazioni e stati d’animo. Espone qui un percorso rappresentativo della sua arte, dopo aver esposto in diverse città italiane e straniere e raccolto lusinghieri apprezzamenti tra cui ricordiamo: Paolo Ricci, Massimo Bignardi, Dario Micacchi, Gino Grassi, Lorenza Mazzetti, Gianni Toti, Edoardo Cintolesi, Michele Prisco, Bernard Vadon. Oltre cento le opere di grandi e medie dimensioni esposte nell’Ottocentesca dimora sul Corso Italia a Sorrento, che con ingresso libero, si potrà visitare tutti i giorni, festivi compresi, dalle 10 alle 13 e alle 17 alle 21.
Un percorso artistico che la critica d’arte Anna Villari così illustra nel catalogo della mostra:
“Incanta la pittura di Vincenzo, proprio perché si muove tra la chiarezza delle forma, la assoluta realtà del dato e del dettaglio, la nitidezza smagliante e quasi feroce dei colori, e quel mondo fluttuante, problematico, indefinito, doloroso alle volte che è il mondo della memoria, personale e storica, del confronto con l’esterno e con se stessi… …La libera ricerca di “semplicità complesse”, come le chiama lui, si muove tra le sollecitazioni del presente, in anni di impegno personale e collettivo, di politica viva, e le eredità del passato artistico più o meno vicino: eredità credo non sempre consapevoli, ma alle volte quasi magicamente istintive, intuite… Siamo ai primi anni sessanta, le sue tele sono sfavillanti, la pittura à plat esalta le splendide nature morte: nella Natura morta del 1963, una lezione che ci appare discendere direttamente da Cezanne appare addirittura vitalizzata nella pienezza, veramente mediterranea e fisica, del colore; in Sedia nello studio, del 1964, la limpidezza dei toni e della linea è quasi donghiana, audaci e senza padri invece gli accostamenti cromatici, viola marrone giallo bianco di una nettezza accecante. Altrettanto forti, assoluti, gli esterni, come la Grande cabina a Marina Piccola, del 1960, dove sembra di percepire, e quasi ci sentiamo degli intrusi, il silenzio dell’ora, la quiete vibrante e pronta a mutare del momento, che sia l’alba l’istante del tramonto…
…Negli anni in cui si distrugge ovunque per far posto a nuove costruzioni, la speculazione appare tanto più violenta in un paese paesisticamente felice come Sorrento, e il tema dei giardini (sul quale hanno scritto sensibilmente Michele Prisco e Edoardo Cintolesi) invade come “una specie di mania” la pittura di Vincenzo; ancora una volta, osservazione, natura, e insieme memoria, che diventa magia, antico che si riaffaccia alla modernità, mito.
…Giardino anch’esso, da preservare, custodire, ci appare il tema della vita domestica (Maria Pia, i figli Luigi e Francesca), la famiglia come luogo reale e sognato, di presente e di futuro. Nei quadri dei primi anni Settanta, gli interni domestici – le camere, ma anche lo studio dell’artista - sono stanze che si aprono le une sulle altre, spesso con scorci di finestre, di esterno, svelando momenti intimi e quotidiani; appena intraviste, sono dimensioni private, luoghi di esperienza e di creazione, ma, appunto, aperte, pronte a ricevere noi, il nostro occhio, o quanto si offre al di là di un vetro…
…la sperimentazione e il ricordo di tecniche e pratiche continua anche nella pittura da cavalletto, con echi di pointillisme e di divisionismi postimpressionisti (Ricordo del matrimonio in giardino, 1998-99, in cui anche il tema, il momento, sembra ricordare certa pittura francese e italiana di secondo Ottocento, si pensi ad alcune tele di Giuseppe De Nittis, come questa invase di luce). …Ecco, la pittura come scoperta, indagine, esercizio, specchio di sé, e insieme “gioco della memoria”, confronto fertile, dialogo ininterrotto con il passato, che parla ancora e vive. E Vincenzo gioca e continua a giocare, facendosi pittore, decoratore (l’uno e l’altro, come in una bottega quattrocentesca, come per un artigiano del Settecento), disegnatore…guardando, avvicinando a sé passato e storia, o avvicinandosi lui stesso a storie, luoghi, personaggi, episodi, con il suo occhio vivacissimo e acuto, con il suo fare antico.”
Un percorso artistico che la critica d’arte Anna Villari così illustra nel catalogo della mostra:
“Incanta la pittura di Vincenzo, proprio perché si muove tra la chiarezza delle forma, la assoluta realtà del dato e del dettaglio, la nitidezza smagliante e quasi feroce dei colori, e quel mondo fluttuante, problematico, indefinito, doloroso alle volte che è il mondo della memoria, personale e storica, del confronto con l’esterno e con se stessi… …La libera ricerca di “semplicità complesse”, come le chiama lui, si muove tra le sollecitazioni del presente, in anni di impegno personale e collettivo, di politica viva, e le eredità del passato artistico più o meno vicino: eredità credo non sempre consapevoli, ma alle volte quasi magicamente istintive, intuite… Siamo ai primi anni sessanta, le sue tele sono sfavillanti, la pittura à plat esalta le splendide nature morte: nella Natura morta del 1963, una lezione che ci appare discendere direttamente da Cezanne appare addirittura vitalizzata nella pienezza, veramente mediterranea e fisica, del colore; in Sedia nello studio, del 1964, la limpidezza dei toni e della linea è quasi donghiana, audaci e senza padri invece gli accostamenti cromatici, viola marrone giallo bianco di una nettezza accecante. Altrettanto forti, assoluti, gli esterni, come la Grande cabina a Marina Piccola, del 1960, dove sembra di percepire, e quasi ci sentiamo degli intrusi, il silenzio dell’ora, la quiete vibrante e pronta a mutare del momento, che sia l’alba l’istante del tramonto…
…Negli anni in cui si distrugge ovunque per far posto a nuove costruzioni, la speculazione appare tanto più violenta in un paese paesisticamente felice come Sorrento, e il tema dei giardini (sul quale hanno scritto sensibilmente Michele Prisco e Edoardo Cintolesi) invade come “una specie di mania” la pittura di Vincenzo; ancora una volta, osservazione, natura, e insieme memoria, che diventa magia, antico che si riaffaccia alla modernità, mito.
…Giardino anch’esso, da preservare, custodire, ci appare il tema della vita domestica (Maria Pia, i figli Luigi e Francesca), la famiglia come luogo reale e sognato, di presente e di futuro. Nei quadri dei primi anni Settanta, gli interni domestici – le camere, ma anche lo studio dell’artista - sono stanze che si aprono le une sulle altre, spesso con scorci di finestre, di esterno, svelando momenti intimi e quotidiani; appena intraviste, sono dimensioni private, luoghi di esperienza e di creazione, ma, appunto, aperte, pronte a ricevere noi, il nostro occhio, o quanto si offre al di là di un vetro…
…la sperimentazione e il ricordo di tecniche e pratiche continua anche nella pittura da cavalletto, con echi di pointillisme e di divisionismi postimpressionisti (Ricordo del matrimonio in giardino, 1998-99, in cui anche il tema, il momento, sembra ricordare certa pittura francese e italiana di secondo Ottocento, si pensi ad alcune tele di Giuseppe De Nittis, come questa invase di luce). …Ecco, la pittura come scoperta, indagine, esercizio, specchio di sé, e insieme “gioco della memoria”, confronto fertile, dialogo ininterrotto con il passato, che parla ancora e vive. E Vincenzo gioca e continua a giocare, facendosi pittore, decoratore (l’uno e l’altro, come in una bottega quattrocentesca, come per un artigiano del Settecento), disegnatore…guardando, avvicinando a sé passato e storia, o avvicinandosi lui stesso a storie, luoghi, personaggi, episodi, con il suo occhio vivacissimo e acuto, con il suo fare antico.”